La Guglia di Raimondello
La Guglia di Raimondello Orsino del Balzo a Soleto (LE)
Sul finire del 1397, Raimondello Orsini del Balzo iniziò la costruzione dell’opera, ma fu il figlio Giovanni Antonio Orsini del Balzo, principe di Taranto e conte di Soleto, a terminare i lavori di questo meraviglioso monumento. Quando l’opera fu portata a compimento, nel Salento non vi era nulla “di più ardito, simbolico, intrigante e misterioso che prìncipe avesse potuto immaginare ed artista eseguire”.
E’ importante indagare sulla motivazione del committente e le ragioni più profonde che diedero via al cantiere orsiniano e cioè, se l’intenzione fosse quello di realizzare una guglia, un campanile o una torre.
La storia politica del Salento poggia su di un fattore unificante: l’epoca orsiniana, un’epoca che portò a evidenti e profonde trasformazioni e processi storici che contribuirono a modificare il territorio.
Soleto nel 1323, prima degli interventi politici del Raimondello era infatti un casale, cioè un centro sprovvisto di cinta murarie, porte e torri. Un casale aperto, privo di fortificazioni salvo le torri di avvistamento chiamate pyrgoi , che caratterizzavano l’organizzazione territoriale delle piccole comunità rurali bizantine delle korion. Raimondello costruì la sua guglia inglobando la base di una vecchia torre circolare, residua testimonianza architettonica dell’era bizantina. Non è azzardato assegnare alla torre circolare, inglobata all’interno del piano-base delle guglia soletana, con le sue feritoie e la sua scala a chiocciola che portava al piano alto di osservazione, il ruolo e la funzione del pyrgoi ossia della torre di difesa del korion soletano.
Raimondello Orsini del Balzo, uomo d’arme, capitano eroico e crociato, affascinato dal Santo Sepolcro, scelse di combattere contro gli infedeli della Terra Santa. Nel 1380, al suo glorioso ritorno in patria, divenne conte di Soleto e di tutta la contea (precedentemente negatagli dal padre), che comprendeva Galatina, Noha, Cutrofiano, Sternatia, Zollino e Soleto. Due anni dopo, re Carlo III di Durazzo lo nominò ciambellano e capitano generale, impegnandolo alla guardia e alla reggenza di Barletta.Nel 1384, grazie al matrimonio con la bella e giovane Maria d’Enghien, il turbolento condottiero divenne conte di Lecce e della vasta contea che comprendeva ben 24 casali.
Quando iniziò la costruzione della guglia, il conte non era ancora principe di Taranto, ma, considerato “la più possente lama” in circolazione a capo di un’imponente esercito di cavalieri e fanti, il re Ladislao, gli concesse nel 1399, il principato di Taranto, il feudo più vasto del regno. Raimondello conte di Soleto, conte di Lecce, principe di Taranto, era il più potente signore dell’Italia meridionale. Cessate le ostilità, Raimondello poté dedicarsi alla realizzazione di nuove imprese: fortificazioni, chiese, castelli e torri, ma alla sua morte (1406) i lavori subirono un brusco rallentamento fino alla totale sospensione.
In seguito, la vedova Maria d’Enghien combinò il matrimonio tra Anna Colonna e Giovanni Antonio Orsini del Balzo, il suo primogenito, il quale portò a termine, intorno al 1443, i lavori della guglia. Giovanni Antonio morì nel 1463 in una sanguinosa congiura che tolse dalla scena “l’ultimo guerriero del Medioevo e il primo signore del Rinascimento”.
Dobbiamo a questo signore potentissimo e a sua madre Maria d’Enghien la conclusione dei lavori della guglia.
La guglia, “maestoso monolite” conficcato in terra, rivoluzionò il monotono sky-line di Soleto e sulla comunità greca, come primo risultato, produsse un eclatante effetto-meraviglia. Effetto voluto e programmato proprio da chi (il papa), aveva favorito un’edilizia sacra di chiara espressione latina, con il quale, insieme ad altre costruzioni come Santa Caterina d’Alessandria a Galatina, si cercò di contrastare la prevalenza del clero greco.
Originariamente la svettante costruzione era coronata da un acuto e slanciato elemento architettonico piramidale, di evidente richiamo visivo, che la caratterizzava come guglia. Il capolavoro orsiniano nasce quindi come guglia con l’impronta inconfondibile del periodo gotico.
L’esistenza della cuspide piramidale la troviamo documentata in particolare, in un disegno di un’artista francese: J.L. Desprez conosciuto per il rigore e il realismo che imprimeva nei suoi lavori.
Tuttavia, il documento (insieme ad altri) non costituì un valido disegno in grado di fornire i dettagli necessari ai muratori incaricati a ricostruire la cuspide, ormai devastata da una serie di vicissitudini, ma soprattutto dai fulmini.
Così, in mancanza di una riproduzione fedele della cuspide, i muratori restaurarono il monumento sostituendo la cuspide con il “tradizionale” cupolino policromatico.
In passato, per volere del clero, la guglia divenne campanile. Furono applicate le campane nella cella del terzo ordine, ma le percussioni dei battagli e le oscillazioni delle stesse campane hanno arrecato danno creando ben presto delle gravi lesioni. Le campane furono immediatamente tolte.
Il campanile, ritornato guglia, svolse l’importante ruolo di torre d’avvistamento e segnalazione, unica in quei tempi per altezza e dimensione, inoltre segnalava il centro della contea orsiniana.
La Guglia
La leggenda vuole che … a Soleto, “terra di màcari” e di magie, il più celebre mago, alchimista e filosofo, Matteo Tafuri, invocò dal regno oscuro streghe e diavoli per farsi aiutare alla costruzione di una grandiosa e incantevole torre campanaria. La realizzazione doveva avvenire in una sola notte entro le prime luci dell’alba. Immediatamente i demoni si misero a lavoro, creando grande fermento e scompiglio, con urla, frastuoni, schiamazzi e strepitii durante tutta la notte.
All’improvviso, le prime luci dell’alba li sorprese e, diavoletti e streghe, si affrettarono ad affossarsi nel regno delle tenebre. Quattro diavoletti si accorsero troppo tardi che l’incantesimo era finto e, nel fuggi fuggi generale, tentarono invano di seguirli, ma rimasero pietrificati ai quattro angoli della guglia.
Una leggenda popolare che non segue un ordine cronologico dei fatti, in quanto Matteo Tafuri, nacque un secolo dopo la costruzione, ma ispirata dall’effetto che la guglia fece sul popolo e giustificata dalla grandiosità e dalla magnificenza del monumento.
La Guglia di Soleto è monumento nazionale di 2ª categoria dal 1875.
E’ una dorata pietra leccese che decora l’accentuato verticalismo della guglia. Gli effetti dinamici degli archi acuti, agili e scattanti, caratterizzano la guglia come opus gotico, per l’esuberante e fiammeggiante decorazione dei piani alti.
Nell’insieme si ha un senso di estrema leggerezza ma anche di imponenza.
L’idea di solidità è data dal piano terra e dal primo ordine che si presentano come “cubi allungati”, semplici e scarni, appena decorati da archetti trilobii poggianti su beccatelli che ingentiliscono le cornici marcapiano aggettanti.
Mentre le facciate delle chiese mediano con i fedeli e i campanili cadenzano la vita stessa della comunità, la guglia di Soleto, invece, in quanto tipologia architettonica laica, ha un suo linguaggio figurativo e allegorico. La chiave di lettura o la decifrazione, è incastonata in quel grande movimento culturale europeo.
Già è indicativa la scelta del luogo, ossia il posto più alto di Soleto. Questo scelta va ricercata nella sfera delle umane aspirazioni del conte Raimondello, il quale sembra inseguire il mito del re Alessandro che si fece trasportare da due grifoni giganteschi fino al punto culminante della volta celeste.
I numerosi grifoni che popolano la guglia, in particolare quelli coronati rispecchiano, in senso allegorico, il carattere e l’audacia del crociato Raimondello. Il grifone (animale mitologico con la testa e ali di uccello e corpo leonino) è presentato dalla Patristica antica come dominatore della terra (corpo di leone) e del regno celeste (ali di aquila).
L’aspetto terrificante dei grifoni è legato anche alla funzione di guardiano della guglia.
A guardia delle bifore troviamo molti leoni, simbolo della vigilanza proprio per la capacità di dormire ad occhi aperti: figure tutelari delle porte e custodi delle soglie e degli accessi ai luoghi sacri. Così i cani, (ne troviamo molti a sostegno degli archi tribolati) con le fauci spalancate, sono il simbolo di fedeltà e di vigilanza.
Alcune maschere, con bocche mostruose e denti sporgenti, sembrano voler mordere e aggredire e rappresentano la vitalità e la potenza. Le lingue dei mascheroni e degli animali guardiani della soglia, hanno il potere di distruggere purificare e giudicare.
Singolare è la maschera con le orecchie d’asino, simbolo e funzione purificatrice della natura oscura e sensuale.Numerose sono i motivi vegetali e le figure barbate simbolo di autorità e.
Nel secondo ordine compare una maschera con gli occhiali che rappresentano lo sguardo acuto dell’alchimista e la trasformazione della materia, a conferma che i soletani erano seguaci dell’ “arte magica”.
Nel sesto archetto della cornice di divisione, a est, tra il secondo e terzo ordine troviamo scolpita la Croce di Gerusalemme: elemento orientale a testimonianza della circolazione dei modelli provenienti dalla Terra Santa.
Sul lato sud, posto nella fascia inferiore della balaustra, si scorge una figura demoniaca, con la testa coronata. La marginale collocazione del demone sulla guglia, risponderebbe all’esigenza dell’epoca di rappresentare il demone in maniera decentrata.
Sulla stessa cornice, a sinistra, è posto l’unico motivo spiraliforme. Simbolo antichissimo e rappresenta un concetto legato al dinamismo: l’idea di un inizio e di una fine, del “divenire” incessante e del “morire”.
Sul libro spettacolare della guglia, in cui le maschere antropocaiche giocano un ruolo egemone, vanno letti altri segni, forme costanti e misteriose combinazioni numeriche: Il numero tre ricorre spesso in numerose decorazioni della guglia come per esempio i tre lobi che caratterizzano gli archetti tribolari.
Altri particolari:
I triscele ( dal greco = tre gambe),motivo orientale composto da bracci curvilinei che girano nella stessa direzione. Simbolo legato al moto della vita, numerosissimi sulla balaustra.
Il mistero della guglia, continua nelle otto bifore dell’ultimo ordine la cui forma è ottagonale e rimanda subito ai misteri federiciani di Castel del Monte. L’otto è simbolo dell’infinito. Attraverso l’ottagono del tiburio l’Infinito è legato al Finito la terra al cielo e Raimondello agli astri.
Due astri infatti campeggiano negli scudi araldici degli Orsini del Balzo, incastonati in tre lati della balaustra. Erano i pianeti, le stelle e le rotte astrali ad indicare agli uomini il loro destino, le cause dei fenomeni della terra, le certezze di un a sorte benevola.
L’enigma è legato al numero dei raggi della stella orsiniana – sempre sedici – che richiamano quella della rosa dei venti, come se volesse abbracciare e illuminare tutta la contea, ma potrebbe aver avuto un altro significato.
Il fatto curioso ed intrigante è che il sole di Raimondello, ormai spento sulla guglia e simbolo del culmine della sua forza, oggi risplende effigiato nello stemma di Soleto, grazie al sindaco del tempo Tommaso Tafuri, forse parente del famoso mago soletano a cui gli si attribuisce la leggenda della costruzione della guglia.
Visite Guidate a Soleto
Per la Guglia di Raimondello a Soleto, sono in programma visite guidate per tutti i periodi dell’anno.
Per informazioni contattateci ai seguenti recapiti:
cell: +39 347 5201533
e-mail: info@irenemarchese.it
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10 Gennaio 2016